Ho imparato a fare questa domanda grazie ad una mia didatta che durante le sue giornate di formazione aveva l’abitudine di chiedere a noi allievi come ci sentissimo nella relazione con lei. Credo sia una domanda essenziale per la buona riuscita di una relazione, sia essa formativa, terapeutica, professionale, passionale, educativa, genitore-figlio. Si tratta di un quesito da porre con delicatezza e attenzione: il tono di voce e l’espressione del volto devono essere autentici, interrogativi ma non supplichevoli o minacciosi, genuinamente curiosi, in ascolto. Si corre infatti il rischio di inviare implicitamente all’allievo, al paziente, al partner, al collaboratore, all’alunno, al figlio, una richiesta di rassicurazione, una sorta di “dammi conferma della bontà del mio modo di fare”: questo appesantirebbe la relazione e farebbe sentire l’altro costretto ad essere condiscendente. Prima di porre il quesito è essenziale domandarsi se si è liberi dal bisogno di essere confermati e pronti a ricevere critiche e, se necessario, a cambiare. Se sì, con questa semplice domandasi darà respiro alla relazione, rilanciandola su basi rinnovate e consentendo la crescita di tutte le persone coinvolte in essa.